Hoshitaro Asada e il suo sake “italiano”

Filly di Somma

Quando un vero professionista dal Giappone si imbatte in un progetto molto insolito, ossia produrre il suo sake in Italia, è pura magia.

L’obiettivo di Asada è proprio quello di mettere insieme due culture, quella italiana e quella giapponese, in nome di una bevanda tipica del Sol Levante, che molti italiani amano, bevono, ma di cui forse non si sa molto, se non che sia ricavata dal riso fermentato. E poi, perché non abbinare questo sake alla tipica gastronomia del Bel Paese.

Grazie all’incontro in terra italiana con Nicola Coppe, il giapponese Asada ha cominciato a produrre il suo sake in Italia e lo fa scegliendo una parte specifica dello stivale, ossia la zona di Belluno, dove le montagne sono le vere protagoniste.

IG@hoshitarosake

Ma come nasce questa passione tutta giapponese per l’Italia in nome del sake?

Molto semplice!

Asada nel 2018 arriva in Italia in occasione del Vinitaly – il celebre salone del vino e non solo che attira cultori da tutto il mondo – per presentare la tipica bevanda giapponese, ma si rende conto che nel nostro Paese questa non è ben conosciuta, anzi ci sono delle idee molto confuse a riguardo.

E allora la sua missione qual è?

Quella di “tradurla” meglio questa bevanda. Dopo di ciò avviene il fatidico incontro con Nicola Coppe il quale in fatto di fermentazioni è un maestro, dato che fermenta di tutto, anche il riso. Fin quando ha l’idea di aprire una izakaya, ossia una osteria in stile giapponese, accanto al suo laboratorio di fermentazioni.

Il nome del luogo è molto semplice e non ci si può sbagliare – Fermentazioni – aperto tutte le sere dal giovedì alla domenica. Tra i piatti imperdibili ci sono i ramen da abbinare al sake della casa ma anche a quelli rigorosamente giapponesi e non manca la carta dei vini.

I compiti sono ben divisi.

Asada – che oramai ha imparato l’italiano e si fa comprendere molto bene – si occupa del sake e Coppe della izakaya.

Il sake ancor prima di un lavoro è una vera e propria arte che racconta tanto delle affascinanti tradizioni del Sol Levante. Ci vogliono ben due mesi per fare un ottimo sake e non ci può fermare. Addirittura Asada spiega che per tre giorni deve stare sveglio per controllare ogni due ore la temperatura della bevanda in fermentazione e poi mescolare.

L’obiettivo di Asada è di stabilirsi a Biella, qui dove l’acqua è perfetta per poter aprire una sakagura tutta italiana, ma in attesa di questo la sua Hoshitaro Sake Brewery continua la sua missione, fermentare lì dove le affascinanti montagne del Veneto svettano. Intanto non smette di sperimentare e soprattutto di imparare, come ad esempio affinare la tecnica di lavare il riso senza romperne i chicchi e poi quel tocco della mano, così delicato, come solo i giapponesi sanno fare, loro che non usano forchette per mangiare, sarebbe troppo aggressivo, ma bacchette che hanno il potere di sollevare il cibo come se fosse un trofeo da rispettare e onorare, a cui ci si “inchina”, tanto che “itadakimasu” indica proprio l’essere grati di ricevere il cibo, un pò come noi usiamo dire ” Buon Appetito”

La fusione è stata importante, da un lato l’italiano Coppe – un esperto di microbiologia e fermentazioni – e dall’altro il giapponese Asada con le sue tradizioni e affinate tecniche.

Un matrimonio perfetto in nome del sake.

E come dicono in Giappone, Kanpai letteralmente “bicchiere asciutto”) un po’ come il nostro cincin

Foto copertina: IG@hoshitarosake

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